Basta sfogliare qualsiasi rivista o quotidiano economico oppure seguire un qualsiasi telegiornale per leggere in prima pagina ed ascoltare nei servizi giornalistici televisivi, quasi quotidianamente, il termine inflazione.
In economia si è soliti indicare con tale termine un incremento generalizzato e continuativo del livello dei prezzi nel tempo. L’oscillazione dei prezzi è la risultante di un mutamento nell’equilibrio fra domanda ed offerta. In campo economico è oramai ampiamente condiviso dagli economisti che l’inflazione, nel lungo periodo, è un fenomeno di natura monetaria in quanto l’aumento dell’offerta di moneta superiore alla domanda stimola, a sua volta, la domanda di beni e servizi e la propensione ad effettuare investimenti (reali e finanziari), con innesco di circolo vizioso che porta a spinte inflazionistiche via via crescenti (Come vedremo tale modello primario del fenomeno inflativo mette in stretta correlazione inflazione e ciclo economico).
Altre cause all’origine di questo fenomeno, esterne al sistema economico regionale, sono riconducibili all’aumento del costo di materie prime e di beni intermedi in seno al ciclo industriale (Tale modello secondario, a differenza del precedente, spiega il fenomeno dell’inflazione importata). Tornando all’attualità dei giorni nostri appare evidente come il risveglio di spinte inflazionistiche nell’area dell’Euro sia ascrivibile al vigoroso aumento del prezzo di materie prime, energetiche in particolare, a fronte di nuovi squilibri fra domanda ed offerta originatisi in questi mercati in anni recenti.
Studi susseguitisi nel tempo hanno evidenziato che un ciclo dell’economia reale dei paesi occidentali è caratterizzato, statisticamente, da una durata media di circa 5 anni all’interno del quale si assiste ad una fase di crescita economica ed una fase di successiva contrazione, talvolta sfociante in recessione o, ancor peggio, in depressione. All’interno del ciclo economico è presente anche un ciclo inflazionistico in quanto l’attività economica reale incide profondamente sulla dinamica dei prezzi dei beni e servizi.
La principale cause di innesco di spinte inflazionistiche in seno al ciclo economico è ascrivibile ad una maggior domanda che si verifica nella fase di crescita, che a sua volta determina un incremento della capacità produttiva e, quindi, della forza lavoro con conseguente pressione al rialzo su salari e stipendi. Riassumendo, un ciclo inflazionistico in seno al ciclo economico ha inizio a fronte di uno squilibrio fra domanda ed offerta (a favore della domanda) che innesca processi di rafforzamento di capacità produttiva aziendale e di forza lavoro con conseguente aumento dei salari e stipendi che si riflette successivamente su un aumento dei costi di produzione e, quindi, sul costo dei beni e servizi finali al processo produttivo.
Il punto di massima inflazione si registra generalmente nel momento di massima contrazione dell’attività economica (in quanto salari e prezzi al consumo sono gli ultimi a subire le spinte inflazionistiche crescenti in seno al processo produttivo) e tende a smorzarsi a seguito del riassorbimento degli squilibri fra domanda ed offerta che erano all’origine della crescita economica stessa.
Il sistema, come teorizzava Adam Smith, tende a raggiungere spontaneamente un suo livello di equilibrio, passando attraverso squilibri di segno opposto, conferendo al fenomeno una caratteristica di ciclicità, più o meno marcata, della durata media di 5 anni.
Il grafico rappresenta l’andamento del ciclo economico dell’area dell’Euro ed è costruito tramite l’indicatore €-coin, calcolato e pubblicato mensilmente dalla Banca d’Italia (www.bancaditalia.it).
Rappresentando graficamente i dati è possibile estrarre il trend di fondo e mettere così in evidenza l’andamento ciclico della congiuntura economica dell’area di studio.
E’ evidente come l’attuale fase coincida con la fase di contrazione economica teorizzata nel modello illustrato precedentemente. Tutto lascerebbe pensare che le spinte inflazionistiche attuali rientrino in una normale fase di ciclicità e che risultino piuttosto marcate grazie all’effetto combinato dell’aumento dei prezzi delle materie prime.
Se da un lato gli squilibri in seno al ciclo economico tendono generalmente a rientrare in modo spontaneo, grazie anche a politiche monetarie più consapevoli rispetto ai decenni passati, d’altro canto, gli squilibri in seno ai mercati delle commodities, energetiche in particolare, risultano di più difficile assorbimento in quanto il timore è quello di essere prossimi ad un’epoca caratterizzata da difficoltà strutturali nel mercato, petrolifero in particolare, per effetto di investimenti insufficienti nei decenni scorsi negli impianti estrattivi da parte delle principali industrie a fronte di una domanda sempre più crescente a livello mondiale.
Appare a questo punto evidente al lettore accorto il fatto che l’inflazione sia un fenomeno normalmente presente in una economia e come questa sua presenza sia naturale e dipendente da diverse cause spesso correlate fra di loro.
La preoccupazione dei governi europei è oramai concentrata sul costo delle materie energetiche ed alimentari e la principale preoccupazione della Banca Centrale Europea è focalizzata sul rischio derivante dai cosiddetti effetti di secondo ordine, cioè dal meccanismo di trasmissione delle aspettative inflazionistiche innescate dal mercato delle materie prime verso il mercato del lavoro (pressione al rialzo su salari e stipendi).
Il grafico riportato rappresenta l’indicatore economico principalmente utilizzato negli USA, l’U.S. Leading Index (fonte dati : www.conference-board.org). Sull’asse delle ordinate è riportato il valore dell’indice (base 2004 = 100), sull’asse delle ascisse l’anno di riferimento e le bande verticali grigie indicano periodi di recessione o depressione economica. Consideriamo il ciclo economico degli USA rappresentativo del ciclo economico di tutte le economie sviluppate occidentali e dall’analisi grafica dei dati si può evincere come il trend di fondo dell’economia occidentale sia in costante crescita dall’origine della serie storica; all’interno di questo trend è ben visibile una ciclicità più o meno marcata con periodi di maggior crescita alternati a periodi di contrazione più o meno profonda dell’attività economica.
Come teorizzato in precedenza, all’interno di un ciclo economico è presente un ciclo inflazionistico ed in un’economia in costante crescita, come quella occidentale, gli squilibri fra domanda ed offerta risultano a favore della domanda con conseguente accentuazione del fenomeno inflazione nel tempo. Inoltre, shock petroliferi intercorsi tra gli anni ’70 e gli anni ’80 hanno notevolmente inciso sulla dinamica inflazionistica di quel periodo in particolare. Ci si aspetterebbe, pertanto, anche per l’inflazione un trend in costate crescita dall’origine dei dati ad oggi. Ma la storia si è svolta in questi termini?
Il grafico rappresenta l’inflazione storica media annua in Italia e negli Stati Uniti. Da una prima analisi grafica dei dati si può evincere un picco nel tasso di inflazione tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, picco la cui causa è certamente da ricercare nel forte aumento del prezzo del petrolio registrato in quel particolare decennio a fronte degli shocks petroliferi verificatisi.
Tali shocks hanno inoltre avuto anche un significativo effetto sulla crescita economica, come ben mostrato dall’U.S. Leading Index che evidenzia ben quattro recessioni nel decennio ‘70-’80. A fronte di un’economia fortemente recessiva la forza del prezzo delle materie prime ha avuto la meglio sulle spinte deflative congiunturali facendo impennare il tasso di inflazione a livelli preoccupanti.
Anche in quel periodo storico, l’effetto combinato dell’aumento dei prezzi delle materie energetiche e della fase ciclica di una congiuntura economica che ha segnato la fine del boom economico post bellico si è rivelato determinante circa le dinamiche inflative, così come proposto dai modelli teorici sopra esposti. La situazione di allora comincia ad avere connotati simili alla situazione attuale.
Il prezzo delle materie prime è indubbiamente in costante aumento (si veda http://www.rivaluta.it/prezzi/prezzo-greggio.htm) ma rappresenterà la vera causa di un futuro all’insegna dell’inflazione persistente?
E tornando alla domanda iniziale, tali spinte inflazionistiche saranno solo temporanee o sconvolgeranno gli scenari economici dei prossimi decenni?
Ritornando al grafico rappresentante l’andamento dell’inflazione media annua vorrei focalizzare l’attenzione del lettore sul ventennio 1980-2000. A livello di congiuntura economica il periodo è stato caratterizzato dalla maggior imponente fase espansiva dell’economia occidentale e, superati ed assorbiti gli shocks petroliferi, da una quotazione media del prezzo del petrolio fra le più basse in assoluto.
Ancora una volta sembrerebbe che il prezzo delle materie prime abbia un ruolo predominante circa il fenomeno inflazione rispetto all’andamento della congiuntura economica. Quindi hanno ragione Governi e Banche Centrali a puntare il dito verso il prezzo delle commodities? Rivestono effettivamente un ruolo così decisivo circa il fenomeno inflazione? Secondo il Fondo Monetario Internazionale ad inizio 2000 i tassi di inflazione annuali a due o tre cifre delle economie mondiali si sono ridotti a livelli storicamente bassi e mai visti in precedenza.
Gli episodi di iperinflazione dei paesi emergenti sono quasi scomparsi con poche eccezioni (Zimbawe).
Nel 2006 l'inflazione media annua dei paesi emergenti ammontava a poco meno del 5% rispetto al 50% circa della media degli anni '90.
Questi dati a dimostrazione del fatto che il processo deflativo partito dagli anni ’80 è un processo riscontrabile a livello globale e non solo nelle economie avanzate dei paesi occidentali.
Può una sola variabile economica (costo materie prime) avere un ruolo così determinante nei modelli econometrici circa il fenomeno inflazione e fungere in determinati periodi da forza fortemente inflativa a forza altrettanto fortemente deflativa oppure questa correlazione così evidente sta mascherando alla nostra vista la vera causa delle dinamiche inflative degli ultimi cinquanta anni?
Fornire una risposta a questo quesito è di fondamentale importanza in quanto i principali protagonisti economici in grado di attuare politiche economiche di rilevanza (politiche monetarie, politiche fiscali, accordi internazionali, ecc...) basano le loro scelte su modelli econometrici che alla fine rispecchiano una realtà economica che fino a questo punto si è tentato di semplificare in questo articolo.
La caduta del muro di Berlino a fine anni ’80 rappresenta insieme alla fine della guerra fredda USA-URSS uno degli eventi geopolitici più significativi dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi, nonché il punto di arrivo di un processo di cambiamento ideologico ed allo stesso momento il punto di partenza da cui datare l’inizio di una nuova epoca sia politica che economica. L’abbandono in massa dell’ideologia della pianificazione centrale adottata dai paesi comunisti a favore del sistema di libero mercato capitalistico è certamente la causa dell’accelerazione di un processo di globalizzazione dei mercati, reali e finanziari, che ha letteralmente stravolto gli equilibri fino ad allora esistenti.
Il progressivo abbattimento delle barriere commerciali ha favorito ulteriormente l’instaurarsi di economie di libero mercato sempre più globali, con sempre maggior partecipazione al mercato di capitali provenienti da paesi in via di sviluppo. Paesi come la Cina, l’India, il sud-est asiatico, le neo repubbliche ex-sovietiche hanno sperimentato la migrazione di milioni di individui dalle protezioni del regime ai mercati concorrenziali interni ai singoli paesi.
Tali individui sono spesso lavoratori che dal settore primario (agricoltura) si sono mossi verso il settore secondario (industria) dell’economia innescando così un flusso di manodopera a basso costo che via via è divenuta disponibile sul mercato del lavoro globale, innescando pressioni al ribasso sui salari della totalità delle economie mondiali. Il potere contrattuale si è man mano trasferito dalle mani dei lavoratori addetti alla mera produzione verso i lavoratori di concetto.
Il mercato del lavoro ha teso a remunerare maggiormente mansioni intellettuali a scapito delle mansioni manuali e, nel complesso, questo processo ha innescato una diminuzione del costo del lavoro.
A tal proposito è significativo ricordare l’accordo raggiunto in Germania nel 2004 tra sindacati e la Società SIEMENS mirato ad abbattere gradualmente nel tempo il costo del lavoro di oltre il 10% (leggasi riduzione salari e stipendi) in cambio del trasferimento delle unità produttive dell’azienda verso i paesi emergenti. La globalizzazione è certamente all’origine di quel processo deflativo mondiale iniziato dai picchi degli anni ’80.
Essa rappresenta la prova tangibile della forza del sistema di libero mercato capitalistico che ha permesso di instaurare le condizioni necessarie per una sostenuta crescita economica a basso tasso d’inflazione. Il libero mercato, se lasciato funzionare al meglio, è il miglior sistema economico attualmente sperimentato dall’umanità in grado di far crescere costantemente nel tempo il tenore di vita dei cittadini di quei paesi che hanno la fortuna di sperimentarlo per un periodo sufficiente di tempo ed allo stesso tempo rappresenta l’unico modello attualmente sperimentato in grado di condurre fuori dalla povertà i cittadini di quei paesi che per lungo tempo non hanno potuto adottare tale sistema.
Questo non vuole essere un elogio a tutti i costi al sistema capitalistico ma vuole semplicemente essere la chiave di lettura delle dinamiche inflazionistiche dal dopoguerra ad oggi. La comunità economica internazionale è concorde nel definire l’inflazione la piaga del sistema economico in quanto è quel fenomeno in grado di ridurre il potere d’acquisto della moneta come nessun altro fenomeno economico è in grado di fare.
La globalizzazione, massima espressione del libero mercato capitalistico, è la soluzione attualmente percorribile per combattere spinte inflazionistiche che tendono con prepotenza a rialzare la testa. E quando le spinte inflazionistiche cominciano a rialzar la testa significa che il sistema di libero mercato sta subendo un processo di rallentamento oppure è seriamente minato da politiche anti-mercato.
L’impennata del tasso di inflazione degli anni ’70 rappresenta il sintomo di un libero mercato malato (monopolio USA petrolifero) o seriamente minato da politiche anti-mercato (pianificazione centrale URSS e Cina in primis).
La situazione attuale è caratterizzata da un rallentamento nel processo di globalizzazione dei mercati e delle economie, processo minato dal costante rafforzarsi di ideologie antipolitiche e anti-mercato in seno proprio ai paesi occidentali. Il sistema capitalistico è certamente un modello economico che, attraverso il meccanismo della concorrenza, creanza condizioni di stress e la natura umana ripudia lo stress a favore di una vita all’insegna della maggior tranquillità possibile. Non bisogna però dimenticare che tale modello economico è quello che ha permesso a diverse generazioni di accrescere il tenore di vita.
Le spinte inflazionistiche di oggi ci stanno avvertendo che il libero mercato sta subendo minacce crescenti. Inefficienza strutturale del mercato del petrolio, politiche protezionistiche contro la concorrenza cinese che si stanno facendo avanti in diversi paesi europei, movimenti antipolitici ed antimercato che stanno tentando di entrare nei parlamenti dei governi europei (vedi movimento Beppe Grillo), politiche recenti di regolamentazione dei mercati in USA (vedi questione in merito ai titoli finanziari), interventi statali a salvataggio di banche e finanziarie USA non rappresentano che alcuni esempi di allarme. Modelli econometrici come quelli descritti dovranno essere utilizzati a fianco di politiche, non solo economiche, in grado di continuare questo processo di globalizzazione dei mercati e delle economie mondiali ... solo in questo modo sarà possibile combattere il fenomeno inflazione.
Accordi internazionali mirati ad introdurre negli ordinamenti giuridici dei paesi emergenti serie leggi al riconoscimento ed alla tutela della proprietà privata nonché al riconoscimento dei diritti umani, deregolamentazione dei mercati, non intervento nelle situazioni di dissesto finanziario di società causato da pessima gestione del management, politiche monetarie di lungo termine da parte delle banche centrali, riconoscimento dell’autonomia delle banche centrali dei paesi in via di sviluppo, rappresentano solo alcuni esempi di soluzione ad uno dei più discussi fenomeni economici.
Classi politiche e dirigenze che manifestano nelle loro scelte visioni di breve termine circa temi in materia economica e di politica estera, in particolare, mi inducono a pensare che i futuri decenni parleranno inevitabilmente d’inflazione.
a cura di Lorenzo Smeraldi - RIVALUTA.it
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