Separazione delle carriere dei magistrati. Cosa significa?

Dibattito sulla separazione delle carriere dei magistrati nella politica italiana

Il dibattito sulla separazione delle carriere dei magistrati è un tema ricorrente nella politica e nel diritto italiani, con implicazioni profonde sul sistema giudiziario e sulla divisione dei poteri.

Cosa significa separazione delle carriere dei magistrati?

Il sistema attuale: Magistratura unica

In Italia, i magistrati sono tutti appartenenti a un’unica carriera. Questo significa che un magistrato, dopo essere entrato in magistratura tramite concorso pubblico, può scegliere di diventare giudice (magistrato giudicante) o pubblico ministero (magistrato requirente), e può anche passare da un ruolo all’altro nel corso della carriera, sebbene con alcune limitazioni.

  • Il giudice ha il compito di decidere in modo imparziale su cause civili e penali.
  • Il pubblico ministero (PM) è il rappresentante dello Stato che conduce le indagini e sostiene l’accusa nei processi penali.

Entrambi sono magistrati, hanno lo stesso status giuridico, le stesse tutele e lo stesso organo di autogoverno: il Consiglio Superiore della Magistratura (CSM).

Cosa significa separazione delle carriere dei magistrati?

La riforma che propone la separazione delle carriere prevede che i giudici e i pubblici ministeri seguano percorsi distinti fin dall’inizio della loro carriera, senza possibilità di passaggio tra i due ruoli. Il pubblico ministero avrebbe una carriera autonoma e separata da quella dei giudici, con un proprio organo di autogoverno.

L’idea è ispirata al modello anglosassone (ad esempio negli Stati Uniti), dove l’accusa è rappresentata da un procuratore (district attorney) che fa parte dell’esecutivo, mentre il giudice è un arbitro imparziale.

Le ragioni a favore

Chi sostiene la separazione delle carriere, tra cui molte forze politiche di centrodestra e parte della dottrina giuridica, argomenta che:

  • Garantirebbe maggiore imparzialità del giudice, che non avrebbe più legami culturali e formativi con i PM.
    • Oggi, un magistrato può iniziare la carriera come pubblico ministero (PM) e poi passare a fare il giudice, portando con sé una mentalità formata nella funzione accusatoria. Questo potrebbe influenzare il suo approccio nel giudicare, rendendolo più incline a credere all’impianto accusatorio piuttosto che alla difesa. Per esempio un giudice che ha trascorso diversi anni come PM potrebbe, anche inconsciamente, avere una maggiore predisposizione a considerare credibili le tesi dell’accusa, poiché abituato a costruire procedimenti basati su indizi e testimonianze. Separare le carriere eliminerebbe questo possibile condizionamento.
  • Eviterebbe un’eccessiva contiguità tra PM e giudici, che attualmente sono colleghi e provengono dalla stessa formazione.
    • Nel caso Enzo Tortora, il noto conduttore televisivo fu accusato ingiustamente di associazione camorristica. Durante il processo, molti osservatori notarono un atteggiamento di vicinanza tra giudice e PM, con scambi di battute informali che sembravano mostrare una connessione culturale tra le due figure. La separazione delle carriere ridurrebbe il rischio di questa familiarità.
  • Renderebbe più chiaro il ruolo del pubblico ministero, che, pur essendo un magistrato, nella pratica appare sempre più simile a un avvocato dell’accusa.
    • Nei sistemi giuridici anglosassoni, il pubblico ministero è chiaramente distinto dal giudice ed è un vero e proprio avvocato dell’accusa. In Italia, invece, il PM è formalmente un magistrato indipendente, ma nella pratica agisce sempre più come un avvocato dell’accusa, con l’aggravante che gode delle stesse tutele dei giudici.
  • Porterebbe a una maggiore terzietà del giudice, come avviene nei sistemi accusatori.
    • Nel sistema attuale, il giudice e il PM provengono dallo stesso concorso e dalla stessa formazione, il che potrebbe rendere il giudice meno terzo rispetto alle parti in causa. Nei sistemi accusatori, come quello statunitense, il giudice è invece completamente separato da accusa e difesa e ha il compito di garantire un processo equo.  Per esempio nel processo Andreotti, il PM sostenne per anni l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa contro l’ex Presidente del Consiglio Giulio Andreotti. Alla fine, la Cassazione stabilì che i reati erano prescritti, ma molti critici sottolinearono che il processo durò anni anche a causa della forte convinzione dell’accusa. Con una separazione più netta delle carriere, il giudice avrebbe potuto mantenere una posizione più distante dall’impostazione del PM sin dall’inizio.

Le ragioni contro

I detrattori della separazione, tra cui molti magistrati e forze politiche di centrosinistra, obiettano che:

  • Rischierebbe di creare un PM più vicino all’esecutivo, minando l’indipendenza della magistratura e aumentando il rischio di pressioni politiche sulle indagini.
    • Immaginiamo che un governo in carica voglia colpire un avversario politico con un’indagine. Se il PM fosse più vicino all’esecutivo, potrebbe subire pressioni per accelerare l’inchiesta o dare maggiore enfasi a determinate accuse, anche in assenza di elementi solidi. Attualmente, invece, il PM è un magistrato indipendente, che risponde solo alla legge e non al governo.
  • Potrebbe ridurre le garanzie per i cittadini, perché il PM, separato dal corpo della magistratura, potrebbe trasformarsi in un organo più aggressivo e meno equilibrato.
    • Un cittadino viene accusato ingiustamente di un reato. Se il PM ha una cultura più orientata alla condanna, potrebbe portare avanti l’accusa con più insistenza, anche in assenza di prove solide, rendendo più difficile la difesa dell’imputato. Questo scenario si è verificato in alcuni sistemi separati, come negli USA, dove i PM hanno un elevato tasso di condanne e spesso ricorrono a strategie di plea bargaining (patteggiamento), spingendo gli imputati a dichiararsi colpevoli anche quando potrebbero essere innocenti.
  • L’attuale sistema garantisce già l’indipendenza dei giudici, che sono vincolati solo alla legge.
    • Nell’ordinamento italiano, i giudici non dipendono dal governo e non hanno alcun rapporto gerarchico con il pubblico ministero. L’unità della carriera non ha mai impedito ai giudici di prendere decisioni indipendenti e imparziali, come dimostrano molte sentenze contrarie agli interessi dello Stato o di potenti gruppi politici.
  • Non esiste un reale problema di imparzialità, dato che il giudice decide sulla base delle prove e non sulla base di una vicinanza con il PM.
    • I giudici decidono sulla base delle prove e delle norme giuridiche, non sulla base di un legame con il pubblico ministero. Il fatto che giudici e PM appartengano allo stesso corpo non significa che siano “alleati”. Le loro funzioni e responsabilità sono già chiaramente distinte.

Il nesso con la riforma della Giustizia

Il tema della separazione delle carriere si inserisce nella più ampia discussione sulla riforma della giustizia in Italia. Alcuni temono che la separazione sia un passo verso una magistratura meno indipendente, mentre altri la vedono come una riforma necessaria per garantire processi più equi.

L’eventuale riforma richiederebbe una modifica costituzionale, perché l’attuale assetto della magistratura è stabilito dagli articoli 101-110 della Costituzione.

Situazione attuale

Attualmente, il governo e alcune forze politiche stanno spingendo per una riforma che includa la separazione delle carriere, ma non c’è ancora un consenso politico definitivo. Probabilmente, se la riforma dovesse andare avanti, si arriverebbe a un referendum costituzionale.

Verso una riforma possibile?

La questione è delicata: da un lato c’è la necessità di garantire maggiore terzietà e imparzialità nei processi, dall’altro c’è il timore che il pubblico ministero diventi troppo vicino all’esecutivo. La soluzione dipenderà dal compromesso politico che si riuscirà a trovare nei prossimi mesi.

Per approfondire

Su Famiglia Cristiana Separazione delle carriere, che cos’è, a chi conviene, perché se ne parla

Su referendumgiustiziagiusta.it Separazione delle carriere dei magistrati sulla base della distinzione tra funzioni giudicanti e requirenti